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Categoria: Articoli, Articolo
NON C’È STATO ALCUN RICICLAGGIO
La seconda sezione penale della Corte d’Appello di Venezia mi ha assolto oggi con la formula più ampia dall’accusa di riciclaggio di tangenti.
Sono passati oltre dieci anni dallo scandalo Mose, e sei anni dall’aprile 2019, quando indagini della Procura di Venezia condotte dalla Guardia di Finanza, in particolare dal GICO, avevano portato al sequestro di oltre 16 milioni di Euro a carico mio, di mio padre Guido e del dott. Paolo Venuti, per accuse di aver riciclato 1,5 mln € di tangenti connesse al caso Mose e alcune decine di milioni di Euro di evasione fiscale di un cliente.
Il sequestro era stato immediatamente quasi azzerato, e poco dopo era partito il processo di primo grado, nel quale gli stessi esponenti del GICO avevano definito le accuse un ‘teorema’, del quale non avevano riscontri concreti.
Il Tribunale di Padova, in relazione al riciclaggio dei proventi di evasione fiscale, aveva sentenziato che il fatto non sussiste, su richiesta della stessa pubblica accusa. In relazione al riciclaggio di tangenti, invece, ci aveva assolti per prescrizione, con una motivazione che faceva a pugni con tutto quanto (non) emerso nel corso del dibattimento.
Io non ho voluto desistere e ho presentato appello contro la sentenza di assoluzione per prescrizione, perché era ingiusta: né io, né i miei soci, abbiamo mai riciclato tangenti, e questo era già emerso chiaramente nel dibattimento.
Le motivazioni del mio appello, scritto e presentato dal prof. Enrico Ambrosetti, erano semplicissime:
- È un dato oggettivo che i movimenti bancari contestati, disposti dal mio socio su un conto suo e di sua moglie, risalgono al periodo 2002-2006, mentre le tangenti del caso Mose sono successive (dal 2008 in avanti), quindi non poteva esservi alcuna relazione.
- Gli stessi esponenti del GICO avevano dichiarato che l’ipotesi accusatoria era un ‘teorema’, privo di riscontri documentali nelle quasi 10.000 pagine di documenti esaminati, dai quali non era emersa traccia che il denaro appartenesse a Giancarlo Galan, né che io vi avessi compiuto alcuna operazione.
Oggi la stessa pubblica accusa, il Procuratore Generale della Corte d’Appello, ha raccomandato di accogliere il mio appello, chiedendo ai giudici di cambiare la formula dell’assoluzione da prescrizione ad assoluzione piena “per non aver commesso il fatto”, cioè perché il riciclaggio non lo ho commesso io.
La Corte d’Appello è andata oltre, affermando che ‘il fatto non sussiste’, cioè che non vi è proprio stato alcun riciclaggio di tangenti.
È la parola definitiva, valida anche per i miei soci. Non ci saranno altri gradi di giudizio.
Un grazie a tutte le persone che in questi anni, nonostante di macchina del fango, hanno creduto in noi, ci sono state vicine e ci hanno dato fiducia.
Christian Penso