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Il Fisco non può giudicare le strategie commerciali dell’impresa
Le genuine scelte commerciali dell’impresa, ancorché non profittevoli, sono insindacabili.
È ormai noto che alcune scelte antieconomiche dell’impresa possono essere disconosciute dal Fisco.
Da tempo infatti la giurisprudenza di Cassazione ritiene che comportamenti inusuali e contrari al buon senso, che manchino di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario), possano essere considerati gravi elementi indiziari che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi. Rientra dunque nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi sostenuti dall’impresa, ma non altrettanto può dirsi delle valutazioni di strategia commerciale, sulle quali il Fisco non ha alcun potere di sindacato. È questo il principio recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 21405 del 15 settembre 2017), che già nel 2015 aveva scritto che le valutazioni riguardanti la strategia commerciale dell’impresa sono riservate esclusivamente all’imprenditore. Solo a lui spetta avalutare la necessità e l’opportunità di sostenere determinate spese.
Insomma, salvo i casi in cui vi siano elementi tali da far presumere l’evasione, il Fisco non può pretendere di giudicare le scelte dell’imprenditore, tassando i profitti e non riconoscendo le perdite che derivano dalla sua insindacabile libertà.
Christian Penso