Scritto il 18 Gen 2018
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L’INERENZA DEI COSTI TORNA UN CONCETTO COMPRENSIBILE

La Cassazione spazza via, apparentemente, decenni di allambiccamenti sulla strumentalità dei costi all’attività di impresa e sulla loro utilità al conseguimento dei ricavi.

 

Nel Paese specializzato nella complicazione degli affari semplici, rimaniamo quasi sorpresi quando sentiamo dalla Cassazione un principio chiaro e in sintonia con il sentire di chi lavora (Ordinanza n. 450 dell’11.01.2018).

Sono decenni che assistiamo all’incredulità degli imprenditori quando si vedono contestare la deduzione di normalissimi costi ritenuti “non inerenti” dall’Amministrazione finanziaria.

C’è infatti tradizionalmente un abisso tra ciò che l’imprenditore considera un costo aziendale e ciò che l’Amministrazione considera “inerente”.

Per l’imprenditore è “costo” ogni euro che spende a fini aziendali. Punto.

L’Amministrazione finanziaria, e dietro di lei la giurisprudenza, hanno invece stratificato negli anni un concetto di inerenza da veri “azzeccagarbugli”: considerano infatti inerenti solo i costi per i quali l’imprenditore dimostri (lavorando per tenere le prove oltre che per portare avanti il proprio business) una concreta utilità all’incremento dei ricavi, o almeno all’attività di impresa.

In altre parole, il Fisco si è spesso comportato da socio cattivo, che pretende non solo di incassare, di fatto, la maggioranza degli utili, ma anche di scaricare sugli altri soci i costi ritenuti, a posteriori, improduttivi, permettendosi di rimproverare implicitamente (siamo tutti bravi ex post!) che si sarebbero potuti evitare. Come se in azienda non si subissero le conseguenze di scommesse imprenditoriali mal riuscite, o non si sopportassero, purtroppo, anche costi che col senno di poi si rivelano antieconomici.

Sembra troppo bello per essere vero, ma la Cassazione, per una volta, è stata dalla parte delle imprese, scrivendo semplicemente che nel calcolo del reddito di impresa sono “buoni” tutti i costi riferibili all’attività, anche se in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, mentre vanno esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa.

In conclusione, sia pure nel rispetto delle mille altre regole sulla determinazione del reddito, rimangono fuori dai conti solamente i costi personali e quelli sostenuti per finalità non genuinamente aziendali, com’è intuitivamente giusto.

Almeno fino alla prossima sentenza.

 

Christian Penso