Scritto il 10 Gen 2020
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LE SOCIETÀ MIGRANTI

L’evoluzione delle norme ha portato minori incertezze sulla tassazione dei plusvalori latenti.

Una volta le società nascevano e morivano nello stesso Paese. Non poteva essere diversamente.

L’evoluzione del diritto civile e di quello tributario internazionale consente invece oggi anche alle società, sempre più spesso, di “migrare”.

In altre parole lo spostamento di una attività economica, o della sua direzione, da un Paese all’altro non rende più necessario chiudere una società per aprirne, altrove, un’altra, perché le società possono più semplicemente (salvo i limiti posti da alcuni Paesi, Regno Unito in testa) spostare la propria residenza.

Il problema è sempre stato che il cambio di residenza comporta, per gli enti come per le persone fisiche, il cambio dell’amministrazione finanziaria titolata a riscuotere i tributi. Cosa accade quando una società, dotata di un proprio patrimonio, cambia Paese? In particolare: il Fisco di origine rinuncia a tassare le plusvalenze latenti o no?

Sul versante italiano, di questo si occupano, tra l’altro, gli articoli 166 e 166 bis del Tuir, che la normativa Atad (Dlgs 142/2018) ha recentemente affinato, offrendo oggi ancora migliori garanzie di mobilitazione delle imprese in ambito Ue, nel quale da Maastricht in poi siamo abituati a parlare di “libertà di stabilimento”.

Oggi è chiaro che se il trasferimento di sede di una società può comportare il pagamento di una exit tax sui plusvalori stimati al momento del trasferimento, compreso l’avviamento, è finalmente pacifico che, simmetricamente, il Paese di destinazione deve applicare l’entry tax sui medesimi plusvalori, compreso l’avviamento, assicurando in tal modo l’assenza di doppie tassazioni, anche parziali. Per la precisione, la entry tax non è una imposta, ma il riconoscimento dei valori fiscali di uscita dall’altro paese, validi dunque, ad esempio, per gli ammortamenti.

La entry tax italiana è un elemento di attrattività delle imprese straniere.

L’affinamento normativo di questi anni ha inoltre trasfuso nella legge quel che avevano capito gli interpreti, e cioè l’estensione del concetto di trasferimento “in entrata” alle operazioni di fusione, scissione o conferimento e dall’altra il riconoscimento, sempre in entrata, del valore dell’avviamento calcolato a valore di mercato, sempreché i beni trasferiti costituiscano un complesso aziendale.

Christian Penso