Scritto il 06 Giu 2019
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BITCOIN DA INDICARE IN DICHIARAZIONE

Tutte le “valute virtuali” sono oggetto di monitoraggio e, se possedute sopra i 54.000€, danno luogo a plusvalenze tassabili.

Le istruzioni al modello REDDITI 2019 spiegano che anche le valute virtuali (tra cui vi sono le criptovalute e i bitcoin) devono essere indicate nel quadro RW, che ha il fine di monitorare gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria potenzialmente capaci di produrre redditi imponibili in Italia.

Una valuta virtuale è “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (art. 1, comma 2, lett. qq, del DLgs. 231/2007).

Con tale definizione, il legislatore ha riconosciuto l’utilizzo delle valute virtuali come strumento di pagamento alternativo a quelli tradizionalmente utilizzati nello scambio di beni e servizi.

Il fatto che esse non siano emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica le rende in qualche modo degli “osservati speciali” dal nostro ordinamento, degli oggetti fuori dal controllo italiano, che le autorità italiane vogliono monitorare.

Le istruzioni alla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche indicano quindi che la criptovaluta debba essere segnalata all’interno del quadro RW, utilizzando come codice individuazione bene il numero 14, “Altre attività estere di natura finanziaria”, che da quest’anno richiama anche le “valute virtuali”.

Il codice dello Stato estero non va invece compilato.

Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre deve essere calcolato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente l’ha acquistata.

Un piccolo vantaggio: le valute virtuali non sono soggette all’IVAFE.

Alle operazioni di cambio effettuate da chi deteneva bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa si applicano le norme valide per le valute tradizionali (DRE Lombardia n. 956-39/2018).

Questo significa che le cessioni di valuta virtuale danno origine a redditi imponibili se la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici (wallet), per i quali la giacenza media superi un controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi.

Christian Penso