Scritto il 28 Mar 2018
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TRANSFER PRICING: QUANDO GLI ACCERTAMENTI COLPISCONO ALL’ESTERO

 

In arrivo il provvedimento attuativo per diminuire il reddito italiano in misura corrispondente alle rettifiche apportate dal Fisco estero.

Le imprese multinazionali che operano in Italia sono solitamente consapevoli dei seri rischi fiscali che corrono in materia di transfer pricing.

Come è ben noto agli esperti, si tratta di una materia con poche certezze operative, e quindi alte probabilità di divergenze di vedute tra contribuente e l’amministrazione finanziaria, che spesso sfociano in importanti rettifiche ai redditi dichiarati.

Ma il Fisco italiano non è l’unica controparte del contribuente, perché le amministrazioni fiscali degli altri Paesi si trovano in posizione speculare, con interessi evidentemente contrapposti: è il loro gettito a salire se sono in grado di muovere contestazioni sui prezzi di trasferimento alle consociate di un gruppo che risiedono nei loro paesi.

Il contribuente si trova in mezzo, esposto al rischio di vedersi tassati in due Paesi i profitti legati agli scambi internazionali, con l’aggravio di pesanti sanzioni.

Cosa accade, dunque, se un accertamento sul transfer pricing colpisce la controparte estera di una transazione con una consociata italiana?

Il rimedio che sinora era possibile (solo in alcuni casi, e sempre in modo lungo e costoso), era quello di attivare le procedure amichevoli tra Stati, per provare a far accordare tra loro le amministrazioni contendenti.

Dallo scorso anno si è aggiunta una possibilità in più: pur con mille cautele, il Fisco italiano prova a stare dalla parte del suo contribuente.

Nel 2017, infatti, è stata introdotta (nell’art. 31-quater del DPR 600/73) la previsione per cui, a certe condizioni, il reddito italiano può essere rettificato in diminuzione a fronte di una rettifica in aumento imposta da una autorità fiscale estera.

Perché questo possa avvenire, è necessario che la rettifica estera sia definitiva, che sia “conforme al principio di libera concorrenza” (cioè che avvenga secondo i criteri dettati dall’OCSE), e che sia effettuata da uno Stato con il quale sia possibile un adeguato scambio di informazioni.

Il passaggio dalle parole ai fatti è tuttavia bloccato dalla classica mancanza dei necessari provvedimenti applicativi.

La novità è che finalmente qualcosa si muove: infatti si è appena conclusa la pubblica consultazione promossa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate sul provvedimento di attuazione mancante.

Il provvedimento in bozza disciplina il procedimento, non particolarmente complesso, che prevede l’invio, da parte del contribuente, di una istanza all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali dell’Agenzia delle Entrate, esibendo la copia degli atti impositivi dello Stato estero dai quali è scaturita la rettifica in aumento che si vuole “neutralizzare” in Italia.

Sembra dunque mancare poco al ristabilimento del divieto di doppia imposizione.

Christian Penso